Racconto: L'uccellino d'argento, di Alessandra Leonardi

23.03.2020

UN RACCONTO INEDITO DELL'AUTRICE DI "ORACOLI"

Illustrazione di Willgaard
Illustrazione di Willgaard

Mi sveglio alle prime luci dell'alba, mi stiracchio e mi metto in ascolto: la casa è ancora coperta da una coltre di sogni e impregnata dalla luce delle stelle. C'è profumo di latte caldo, ma il silenzio regna sovrano: la mia Savannah è andata a cogliere le erbe bagnate di rugiada delle prime ore del mattino, indispensabili per i suoi incantesimi. Ne deve compiere uno su un bellissimo volatile dalle piume d'argento e dalla voce cristallina, rinchiuso in una gabbietta da quando lo ha trovato qui nei pressi della nostra casa. Beh, in realtà l'ho trovato io, lei è accorsa a salvarlo.

Savannah parla con tutti gli animali, e la storia di questo uccellino dev'essere stata molto commovente, perché ha pianto e si è messa di gran lena a studiare il suo antico grimorio. Devo ammettere che mi sono sentito trascurato, e anche un po' geloso! Non posso fare a meno di fissare l'ospite pennuto e la tentazione di andare a giocherellare con lui è forte; però il mio appetito è maggiore, e scatto in cucina a bere il latte.

Percepisco l'arrivo di Savannah: corro a salutarla, abbracciarla e baciarla, e lei ricambia con amore.

«Hai trovato ciò che ti serviva?» le domando.

«Sì, ma ora dovrò attendere che quest'erba si secchi, e dopo dovrà stare due notti sotto i raggi della luna piena, affinché s'impregni del suo lucore. Hai mangiato?»

«Certo!» Si preoccupa sempre per me; forse sono troppo sospettoso, troppo possessivo, ma è il mio carattere: Savannah mi conosce meglio di chiunque altro e mi ha accettato per quello che sono.

«Ora esco per andare a caccia. Vanno bene un paio di piccioni selvatici?»

Savannah annuisce mentre dà alcune briciole di pane all'uccellino.

«Dopo però mi racconti cosa gli è accaduto? Tra noi non devono esserci segreti» le dico, prima di uscire. Lei mi guarda e acconsente, sorridendo.  

Torno con la mia preda, un bel fagiano invece dei piccioni; sono felicissimo quando vedo gli occhi della mia bella illuminarsi per la contentezza e per la sorpresa. Dopo aver riposto il pranzo in cucina, si siede sul divano a completare il suo lavoro: sta ricamando una veste per una bambina del villaggio e intreccia i fili cantando antiche cantilene; l'uccellino cinguetta insieme a lei e io mi sdraio appoggiando la testa sulle sue gambe.

Dopo il pranzo e il riposino pomeridiano (lo so, sono pigro, ma oggi me lo merito), chiedo di nuovo a Savannah di raccontarmi la storia di quell'animale.

«L'ha catturata il duca Arlinghton. Era una fanciulla dalla voce bellissima e voleva renderla sua schiava per sentirla sempre cantare. La ragazza è scappata, ma il duca e i suoi uomini l'hanno rintracciata, e lui l'ha trasformata in un uccellino. Per fortuna è riuscita a volare via e meno male che l'hai trovata tu.»

«Savannah, ma così siamo in pericolo anche noi. Il duca ti odia, è un tuo nemico.»

«È un mio avversario perché teme i miei poteri, ma non ci farà del male. Io uso la magia a fin di bene, e liberare dal sortilegio questa giovane è esattamente una delle cose che faccio: aiutare il prossimo. E poi qui nascosti nel bosco non ci troverà.»

Vero, ma io non mi fido del duca, e a dire il vero neppure del volatile: percepisco strane energie.

Arriva il giorno dell'incantesimo. Savannah tira fuori l'uccellino dalla gabbietta, lo appoggia per terra e mi intima di stare lontano. Pronunciando arcane parole, cosparge l'animale con la polvere ricavata dall'erba essiccata e impregnata di luce lunare: l'aria inizia a vibrare, e la forma del volatile inizia a mutare. Quando la nebbiolina magica si dirada, vediamo finalmente il vero aspetto dell'uccello.

È il duca Arlinghton.

«Finalmente ti ho trovata!»

Savannah impallidisce: è riuscito a ingannarla e ora è priva di forze per colpa dell'incantesimo.

L'uomo avanza verso di lei. Non posso far altro che lanciarmi contro di lui.

«E tu vattene, stupido gatto!» mi grida, dandomi un calcio. Mi fa male, ma riesco ad atterrare su tutte e quattro le zampe. Inizio a soffiare. Il mio fiato diventa gelido vento e avvinghia il duca: non sortisco effetto se non quello di rallentarlo mentre afferra Savannah, ormai quasi svenuta. Allora decido di emanare le mie vibrazioni, concentrandomi su di lei.

Il piano funziona: prima di uscire dalla porta, Savannah si riprende e lancia un incantesimo verso di me.

Era parecchio che non tornavo a essere un umano: devo abituarmi a gambe e braccia. Mi lancio di nuovo sul duca, stavolta con i miei possenti muscoli da uomo. Arllinghton rimane di stucco: non si aspettava che il famiglio di Savannah potesse assumere aspetto umano. Ne approfitto per travolgerlo con una serie rapida di pugni , a cui non riesce a reagire. Nel mentre Savannah è libera, anche se rimane a terra, stordita. Il duca riesce a sottrarsi ai miei colpi e fugge, gridando che tornerà.

L'incantesimo sta per terminare il suo effetto: sento il mio corpo rimpicciolirsi, la schiena curvarsi, gli occhi vedono in modo differente e i peli ricoprono la mia epidermide. Torno a essere un gatto e cerco di svegliare la mia bella.

«Grazie, Thul, sei il famiglio migliore del mondo. Ora dovremo trovare un altro rifugio.»

«Bene, ma da ora in poi ai volatili ci penserò soltanto io!» non posso fare a meno di risponderle.