Intervista a Maena Delrio
CONOSCIAMO L'AUTRICE DEL NUOVO THRILLER DI NPS EDIZIONI
Benvenuta alla scrittrice Maena Delrio!
Parlaci un po' di te. Chi sei? Cosa fai? E soprattutto dove vai?
Ciao! Tre domande belle toste, queste, per cominciare!
Mi presento, allora: mi chiamo Maena Delrio, sono nata il 24 novembre 1981 a Lanusei, e attualmente vivo a Tortolì con il mio compagno e tre figli.
Principalmente faccio la mamma, specie ora che la mia ultima nata ha un anno e mezzo, ha l'argento vivo addosso e necessita di tutte le mie attenzioni (ed energie!). Nei rari momenti di solitudine cerco di coltivare le mie passioni, che sono un po' come i figli piccoli e anche loro per crescere hanno necessità di essere curate. Bisogna dedicarci abbastanza tempo per vederle fiorire e ricavarne una certa soddisfazione personale. Mi piace pensare di essere una scrittrice part time, una lettrice compulsiva, una pittrice incostante e una runner nell'animo.
Dove vado? Ovunque mi porti l'ispirazione.
Cos'è per te la scrittura?
Ho riflettuto spesso su questa domanda, e devo ammettere di non avere una risposta univoca. Anche perché, a seconda del periodo che sto attraversando, questa pratica assume uno scopo differente. È un modo per evadere dalla routine quando sono annoiata, una valvola di sfogo quando sono piena di energie o arrabbiata, il mezzo con il quale metto ordine nella mente, se ho nostalgia, sono triste o non riesco a trovare il filo dei pensieri.
So però cosa è stato quando ho cominciato, undici anni fa.
Attraverso la scrittura ho portato a galla quella parte di me, intima e viscerale, nata nei miei sogni di bambina e nascosta dalle vicissitudini della vita che volente o nolente avevo scelto di condurre. Potrei definirla una cura? Forse. Ma anche una rinascita.
Hai un genere preferito o ti piace spaziare, sperimentare nuovi stili e nuovi generi, sia nella scrittura che nella lettura?
Mai avuto un genere preferito, nemmeno nella lettura. Anzi, più sperimento, più sono felice. Sento di essere più brava davanti ad alcuni temi, quello sì, mi vengono più "facili". Ma sono anche testarda, perciò quando so di avere pochi strumenti a disposizione per affrontare una sfida, mi metto a studiare e cerco in tutti i modi di dare il massimo e superare l'ostacolo.
Parliamo del libro che hai pubblicato con NPS Edizioni, il thriller "Gli impiccati non muoiono subito". Qual è la sua storia? Come è nata l'idea?
È una storia buffa, in realtà. Avevo appena pubblicato una raccolta di racconti con Mara Sordini, una cara amica di penna, e stavo ancora in brodo di giuggiole per questo traguardo, mi sentivo ispiratissima. Immagina l'entusiasmo quando, poco prima di Natale, ci telefonammo e mi propose di scrivere un romanzo a quattro mani! Mi parlò di "giallo apparente", e questo stuzzicò non poco la mia fantasia. Fino a quel momento non avevo mai nemmeno pensato di scrivere un thriller, non credevo neppure di saperlo fare. Poco tempo prima avevo letto un articolo su un quotidiano online locale: parlava dei monaci che anticamente avevano vissuto in quello che ora è il teatro San Francesco, a Tortolì, e delle leggende che aleggiavano sul monastero.
Evidentemente il mio cervello non aveva mai smesso di elaborare quelle informazioni, perché appena riattaccai le visualizzai nella mente, come se guardassi un film. Perciò, un'ora dopo la telefonata con Mara, avevo già una trama, con tanto di intreccio che pensavo di far sviluppare all'altra metà della mia penna, che è ligure (per questo motivo una parte della storia si svolge a Genova, l'intento iniziale era di scriverla insieme). Ma avevo sottovalutato la potenza di quella scintilla, tanto travolgente quanto impossibile da arginare. Quella stessa sera scrissi i primi quattro capitoli, e due settimane dopo avevo terminato da sola tutto il lavoro!
Dal romanzo "Gli impiccati non muoiono subito" traspare un grande amore per la tua terra, la Sardegna. Cosa ha di magico che ti lega a lei?
Credo che abbia a che fare con qualcosa che sta scritto indissolubilmente nel DNA, altrimenti non si spiega. Il solo pensiero di allontanarmi dal mio mare, dai miei monti, dalle mie radici, mi procura un immenso disagio. Non è solo un sentimento generale di appartenenza, ma qualcosa di più profondo e viscerale. Come certe piante che nascono e fioriscono solo in una determinata parte del pianeta. Forse anche io sono "endemica" dell'Ogliastra. Ora, capisco che questa peculiarità possa sembrare una catena che m'imprigiona, anche alla luce di tutte le problematiche che piagano la mia bella isola e la mia provincia in particolare, ma tale è l'amore che provo, che io di quella catena mi sento l'anello più saldo.
Il romanzo "Gli impiccati non muoiono subito" pone molta attenzione alla caratterizzazione dei personaggi femminili, l'ispettrice Marcialis e la contessa Fenudi. Cosa puoi dirci di questi affascinanti protagonisti?
Claudia e la contessa sono le due facce della stessa medaglia. Si somigliano, perché entrambe sono donne pragmatiche, e hanno rinunciato a qualcosa di importante per perseguire i rispettivi obiettivi. All'amore, ad esempio. Agli affetti che potessero renderle deboli agli occhi del mondo. Sono inflessibili, soprattutto con loro stesse.
Vivono in funzione di ciò che hanno costruito e dall'alto della loro posizione di comando cercano imperterrite di mantenere l'equilibrio, per non cadere. Percepiscono costantemente la vulnerabilità che l'essere donna comporta, in un mondo governato soprattutto da uomini.
Scelte differenti e diversi caratteri le porteranno su strade opposte, certo. Eppure riconosceranno le stesse fragilità, quando i loro occhi si incontreranno, alla fine.
Quali sono i tuoi prossimi progetti? Cosa bolle in pentola?
Da quando ho cominciato a scrivere, ho sempre avuto qualche progetto in testa, tipo sequenze d'immagini, o gruppi di incipit che chiedono di avere un seguito. E se non dedico loro abbastanza spazio sanno essere particolarmente fastidiosi, tipo le zanzare di notte, quando vuoi dormire e ti ronzano nell'orecchio. In questo momento ne ho uno abbastanza tosto, che nell'ultimo mese ho messo a tacere per stanchezza, ma che sta già tornando alla carica. È un romanzo inizialmente ispirato alle leggende che girano intorno a un vecchio albergo abbandonato ad Arbatax, ma in realtà ho preso in prestito solo l'ambientazione, poi i personaggi sono andati per i fatti propri.
Oltre che essere scrittrice, sei anche una runner. Cosa rappresenta lo sport per te?
L'ingresso dello sport nella mia vita ha rappresentato uno spartiacque importante tra ciò che ero e ciò che sono diventata.
Con l'attività fisica, e soprattutto con la corsa, impari ad affrontare i tuoi limiti ma anche a superarli. E il cambiamento non avviene solo nel corpo, ma soprattutto a livello mentale. Ti insegna a credere in te stesso, nelle tue potenzialità. E la disciplina a cui ti sottoponi forgia il carattere, la resistenza, la determinazione nel conseguire gli obiettivi. Una volta, una mia amica che è coach writer mi ha fatto notare come nella scrittura io utilizzi lo stesso approccio che ho negli allenamenti intensi, o addirittura in gara. Il modo in cui mantengo la concentrazione, ad esempio, è tipico degli sport di endurance.
E anche adesso che corro poco e niente, perché ho deciso di dare la precedenza a mia figlia e psicologicamente non riesco a "staccare" da lei per dedicarmi alla corsa quando, quanto e come vorrei, la filosofia del runner non mi abbandona.
Mi è sempre piaciuta l'affermazione "scrivo mentre corro", perché durante i miei allenamenti riuscivo a sviluppare, riordinare e tenere a mente infinite idee, perciò una volta tornata a casa non dovevo far altro che riportarle sul foglio bianco. Ora, al contrario, "corro mentre scrivo", perché quando mi dedico alla scrittura sono così felice da percepire le stesse emozioni, la stessa cascata endorfinica di una bella corsa sul lungomare all'alba. Tanta, tantissima roba!
Grazie per essere stata con noi.
Grazie a voi per il tempo e la pazienza che mi avete dedicato.