Intervista a Francesca Cappelli
UN VIAGGIO TRA LE VARIE VERSIONI DI FIRENZE
Benvenuta Francesca Cappelli,
Parlaci un po' di te. Chi sei? Cosa fai? E soprattutto dove vai?
Di solito mi presento dicendo che nella vita racconto storie. In effetti è così. Sono insegnante di lettere nella scuola media, scrivo da tanti anni, faccio teatro, ho la passione del gioco di ruolo e compongo canzoni. Quindi, sì, una vita dedicata alle storie in tutte le loro forme.
Dove vado? In giro tra i mondi, credo, cercando di tenere sempre con me le cose importanti che imparo in ciascuno di essi. C'è il mondo della scuola e dei miei meravigliosi studenti, quello oscuro e affascinante che si nasconde nelle ombre di un teatro, quello che trovo sulle corde della chitarra, e così via.
Cos'è per te la scrittura?
È il modo che ho per allargare il mondo, bandire i confini e rendere tutte le cose grandissime e infinite. Ho sempre avuto questa aspirazione un po' da megalomane. Scrivere, inventare, è per me come aggiungere pezzi alla realtà.
E poi, scrivere mi aiuta a confrontarmi con il mondo. Mi fa capire meglio le cose, le persone, quello che c'è dentro di me. È un supporto indispensabile e mi accompagna fin dall'infanzia. L'invenzione di storie è una delle prime memorie che ho.
Hai un genere preferito o ti piace spaziare, sperimentare nuovi stili e nuovi generi?
Preferisco il fantastico, in tutte le sue sfaccettature, ma scrivo un po' di tutto, e anche all'interno dello stesso genere passo volentieri da una sfumatura all'altra: urban fantasy, steampunk, fantasy classico...
Parliamo del libro che hai pubblicato con NPS Edizioni: "L'altra anima della città". Qual è la sua storia? Come è nata l'idea?
Mi piaceva l'idea di raccontare Firenze come la percepivo io, con tutti i suoi aspetti curiosi e affascinanti, ma anche di immaginare altre sue versioni, altri volti. Abito in provincia ma ho sempre frequentato Firenze, e con l'università ho iniziato ad andarci tutti i giorni, a viverla di più. Inoltre il primo corso che io abbia seguito alla facoltà di Lettere fu un corso splendido di Storia Medievale, con un professore che riuscì a farmi innamorare della città e della sua storia. In quegli anni cominciò a germogliare la voglia di raccontare una Firenze un po' magica. Poi ripresi in mano dei personaggi davvero vecchi, inventati insieme a un'amica quando avevo undici anni, e cominciai a crearne altri. Pian piano quel mondo si popolò, e dopo molte stesure e trasformazioni, è nata la storia così com'è.
C'è un personaggio, del romanzo (o più d'uno), a cui sei particolarmente affezionata?
Ce ne sono vari per cui provo una simpatia più spiccata: per esempio, Ginevra e Susanna. Quello che sento più vicino però è Damiano. È con me da molti anni e incarna alcune cose in cui credo profondamente: l'importanza di combattere per essere se stessi, la curiosità, l'apertura mentale che fa accogliere anche le cose apparentemente più insolite. E poi gli ho dato alcune delle mie passioni, ovvero il teatro e i travestimenti.
Qual è l'altra anima di Francesca?
Credo di averne molte. Una per ogni mondo in cui viaggio. Quando sono armonizzate e funzionano bene insieme, allora è il mio momento migliore.
Qual è la miglior versione di Firenze che preferisci?
Banalmente, rispondo: quella che, nel romanzo, viene chiamata "la Madre", e che corrisponde a quella "reale". Perché è quella che ho amato per prima. Ma devo dire che voglio molto bene anche a quella medievale-steampunk che fa capolino tra le pagine, e che avevo narrato in "Homo novus", un racconto contenuto nella raccolta "Ana nel Campo dei Morti e altri racconti dal Trofeo Rill e dintorni".
Grazie per essere stata con noi.